DailyNet 08/02/2017
Giunge alla sua seconda edizione l’indagine nata per monitorare il fenomeno dell’ad blocking nel nostro Paese: “Lo stato dell’arte dell’Ad blocking in Italia”, promossa dalle principali associazioni rappresentanti la industry: Assocom, FCP-Assointernet, Fedoweb, IAB Italia, Netcomm e UPA, coordinata da GroupM e commissionata a comScore e Human Highway. Il progetto nasce per comprendere quanto e quale valore dell’attuale modello della pubblicità digitale potrebbe essere messo a rischio o quali nuove opportunità potrebbero nascere da un’evoluzione del sistema. Realizzata nel novembre 2016, l’indagine mostra rispetto alla prima wave (maggio 2016) come l’incidenza dell’ad blocking in Italia rimanga contenuta e il fenomeno sia sostanzialmente stabile: il numero degli utenti unici che hanno installato sul proprio PC un ad blocker resta fermo al 13%, al 15% le pagine bloccate (panel meterizzato). Tre diverse fonti di dati ma un unico risultato in cui tutto il mercato si riconosce: un unicum italiano. Va ricordato che l’indagine si basa su tre diverse fonti di dati. Un unicum anche rispetto alle altre ricerche internazionali sull’ad blocking. • Panel meterizzato comScore: quantificazione di utenti unici e pagine viste con ad blocker installato su PC. • Indagine CAWI su panel Human Highway: quantificazione degli utilizzatori di ad blocker da mobile e da qualsiasi device nonché analisi dettagliata di motivazioni e modalità di utilizzo degli ad blocker. • Dati censuari forniti dagli associati FCPAssointernet per la quantificazione delle pagine con ad blocker attivo. I numeri chiave della CAWI Anche in questo caso si confermano i dati della prima wave: 22,2% è la percentuale degli utenti che hanno dichiarato di aver installato un ad blocker su almeno un dispositivo di accesso ai servizi online. Il dato va interpretato alla luce delle seguenti considerazioni: • Non tutti i dispositivi utilizzati dagli utenti sono stati dotati di un ad blocker. • Non tutti i browser installati sui device degli utenti sono dotati di ad blocker. • Non tutte le pagine web chiamate dai browser con ad blocker sono prive di pubblicità. Ne deriva che la maggior parte (65,7%) degli individui online (PC + smartphone) che utilizza un ad blocker lo fa in maniera tattica, ovvero configurando whitelist o mettendolo in pausa per accedere a pagine e siti di proprio interesse, selezionando i browser e i device su cui applicarlo. L’incidenza dell’ad blocking in Italia viene così ricondotta alla percentuale rilevata dal panel meterizzato: il 13% di utenti che utilizza sul proprio PC un ad blocker e il 15% delle pagine adblockate rappresenta la reale dimensione del fenomeno nel nostro Paese (dato confermato dalla indagine interna FCP-Assointernet, che misura un 12,5% di pagine ad-blockate da desktop sul perimetro delle concessionarie che hanno partecipato all’indagine). Tra gli utenti di smartphone l’incidenza si riduce all’8%. Profilo dell’utenza e motivazioni dell’installazione Rispetto alla prima wave si conferma il profilo degli user di ad blocker: prevalentemente maschile (65,3%), giovane (la fascia con maggiore incidenza è 25-34 anni col 25,9%), con elevato livello d’istruzione. Il fenomeno inizia a interessare le donne (34,7%). Per consentire una evoluzione del sistema e un contenimento del fenomeno l’indagine ha approfondito le ragioni per cui l’utente decide di installare un ad blocker su PC. L’ad blocker si conferma la risposta a una user experience negativa: formati giudicati troppo invasivi (50,7%) e eccessivo affollamento (47,2%) sono le due cause principali, a cui segue l’eccessiva frequenza (36,3%), il rallentamento dei tempi di caricamento dei siti (35,2%), una pubblicità non in linea con gli interessi degli utenti (23,1%). Negli smartphone la ragione principale dell’installazione è il rallentamento dei tempi di caricamento dei siti (40%), ma preoccupa anche il consumo del traffico dati (37,8%). Consapevolezza della pubblicità La seconda wave conferma come rimanga significativa la conoscenza del cosiddetto patto pubblicitario, ovvero la consapevolezza da parte dell’utente della pubblicità come fonte di finanziamento di contenuti free: 42,7% tra gli utilizzatori di ad blocker. Sale dal 50,8% al 56% la quota degli utenti “recuperabili”, cioè di coloro che avendo installato un ad blocker sarebbero disposti a rinunciarvi a fronte di un ambiente online più user friendly. Focus su utenti ecommerce Rispetto alla prima wave è stato aggiunto un focus sugli utenti ecommerce, un’utenza generalmente più matura nella fruizione di internet, su cui l’indagine ha confermato un’incidenza maggiore del fenomeno: il 27,9% degli acquirenti online utilizza un ad blocker. Tra gli utenti di smartphone l’incidenza si riduce all’8,9%. Conclusioni L’indagine inter associativa sull’ad blocking proseguirà nei prossimi mesi con successivi aggiornamenti, per monitorare il fenomeno e settare eventuali contromisure. In particolare le associazioni promotrici dell’indagine stanno lavorando su Tavoli ad hoc non solo per quantificare e comprendere il fenomeno, ma per realizzare uno sforzo comune finalizzato al miglioramento del sistema. Vale a dire recepire e soddisfare con sempre maggiore puntualità le istanze dell’utente, sensibilizzandolo nel contempo al rispetto del “patto pubblicitario” su cui la industry del web si basa. Giovanna Maggioni, UPA Dalla ricerca emerge anche che due tra le principali motivazioni per attivare l’adblocking sono il rallentamento nel caricare i siti, dovuto alla pesantezza di alcuni oggetti pubblicitari, e il consumo eccessivo di traffico dati a causa della medesima ragione. «Due indicazioni molto significative, e importanti per noi – spiega Giovanna Maggioni, direttore generale di UPA -. Questi dati confermano che il consumatore attiva l’adblocking non tanto perché infastidito dalla pubblicità, ma perché l’adv troppo pesante influisce negativamente sulla sua esperienza in internet. Questo ci permette anche di dare suggerimenti alle aziende sull’utilizzo di creatività digitali più fruibili». UPA partecipa alla ricerca per avere informazioni approfondite anche sui profili degli utenti dell’ad blocking. Infatti, una ulteriore informazione che UPA giudica fondamentale è quella relativa ai target. «I dati sui target – dice ancora Maggioni – ci consentono di capire in che modo e che tipo di penetrazione ha l’utilizzo del blocco della pubblicità sulle diverse categorie di consumatori». Daniele Sesini È soddisfatto dei risultati della ricerca Daniele Sesini, direttore generale di IAB Italia: «Siamo contenti nel commentare un fenomeno che non si sta ampliando. Non c’è incremento né nel tasso di penetrazione né in termini di fruizione. La paura, peraltro giustificata, che tutti gli operatori avevano riguardo una possibile crescita della pratica dell’ad blocking è stata in qualche modo bilanciata da risultati stabili e in linea con la maggior parte dei mercati esteri». «Un dato particolarmente positivo riguarda la consapevolezza della pubblicità come fonte di finanziamento per chi produce e veicola gratuitamente i propri contenuti, che è in aumento. Gli utenti stanno acquisendo consapevolezza del patto. E soprattutto la quota di recuperabili è in ascesa. Penso che queste due tendenze siano la conferma del lavoro che stiamo svolgendo a livello inter associativo tanto in Italia quanto a livello globale, per esempio con la Coalition for Better Ads». «I temi dell’advertising di oggi sono diversi e li stiamo trattando e approfondendo con impegno ed un elevato livello tecnico. Parliamo di trasparenza, misurazione, brand safety e viewability, tutti fenomeni che stiamo monitorando con grande attenzione. Tornando all’ad blocking voglio porre l’attenzione sul mobile: il tasso di dispositivi bloccati è molto basso e penso che questo sia un’opportunità per proseguire il lavoro svolto fino a ora ed evitare che errori commessi in passato su desktop si ripetano. In sintesi, occorre costruire ambiente pubblicitario di valore per utenti, editori e inserzionisti».