DailyNet 8/07/2015
Il ritardo fa parte dell’italianità. È chiaro, non è mai giusto fare di tutta l’erba un fascio, ma purtroppo è una caratteristica di gran parte della popolazione. Non solo. Questa inclinazione si riflette anche nelle dinamiche statali.
Ultima tra queste l’adozione della banda ultralarga. I suoi indicatori “presentano un grado di arretratezza preoccupante rispetto agli altri stati del continente”. Ad affermarlo è Angelo Marcello Cardani, presidente dell’Agcom, proprio nella Relazione annuale 2015 sull’attività svolta e sui programmi di lavoro presentata al Parlamento. Se scendiamo nel pratico, immergendo le mani nei dati, il distacco con il resto dell’Europa appare nella sua massima evidenza. Copertura nazionale del 36%, nell’Ue-28, invece, tocca il 68%. A utilizzare connessioni superiori a 30 mega poi, in Italia è solo il 4% delle famiglie, in Europa il 26%. I numeri parlano chiaro, bisogna recuperare terreno.
La soluzione potrebbe risiedere in quegli incentivi e contributi finanziari alle aree bianche del Paese stanziati dal governo per la strategia per la banda ultralarga.
Pubblicità ancora in perdita L’advertising nostrano flette ormai da tempo, e non riesce proprio a frenare la sua caduta. Dal 2010, in cui alla voce ricavi era segnato 9,8 miliardi, al 2014, quando i miliardi sono diventati 7,4, la differenza è netta: 2,5 miliardi. Gli estremi della forbice sono internet, il “best case” che cresce anno su anno del 10% grazie soprattutto all’incremento delle inserzioni display (+13%), e la stampa, in cui la situazione negativa è evidenziata da ricavi in caduta del 9% (da 941 a 859 milioni di euro), con la pesante zavorra del -4% segnato dalla vendita di copie agli utenti. In mezzo la tv, che fa della pubblicità la sua fonte di ricavo più prolifica (circa 40% delle entrate), anche nel caso delle pay tv.
Stretti i rubinetti adv, il settore media perde valore Nell’ultimo anno, il settore media ha registrato una perdita di valore pari a mezzo miliardo, il 3,2% del totale 2013. Ancora governato dalla tv, che vale 8,5 miliardi anche con una sforbiciata dell’1,5%. Il piccolo schermo non è l’unico ad avere un meno davanti alle percentuali di crescita; con lui ci sono l’editoria (-10,7%) che ha subito un’ulteriore ridimensionata e vale 4,1 miliardi e la radio (-2,8%) che conta per 610 milioni. L’unico, invece, a crescere, e anche in doppia cifra, rispetto al 2013 è il digital. La rete incrementa di un decimo il suo valore (+10%), passando da 1,4 a 1,6 miliardi. La crisi dell’editoria Il sistema editoriale tradizionale è in una grave fase recessiva da diversi anni ormai, e difficilmente ne uscirà a breve. La crisi ha giocato un brutto tiro all’intero settore, che può riprendersi proponendo nuovi servizi, meglio se subordinati al mezzo internet. Ma servirà tempo. Cardani chiede una riforma E’ necessaria “una riforma ampia della normativa italiana in materia di comunicazioni, informazione e media. Il quadro esistente, tra l’altro molto frammentato e disomogeneo, è infatti ormai obsoleto rispetto alle sfide imposte dal nuovo sistema”. Lo afferma Angelo Marcello Cardani. “Per molti aspetti, i servizi on-demand sono soggetti a minori obblighi, dal momento che gli utenti hanno una più alta autonomia nella scelta e maggiore controllo su contenuto e tempo di visualizzazione”. Cardani aggiunge che “il processo di evoluzione tecnologica in atto va nella direzione di un superamento della distinzione tra comunicazioni elettroniche e media audiovisivi e della necessità di una sostanziale riforma del quadro normativo nazionale” aggiunge. “L’Autorità – spiega – è coinvolta nel governo del sistema dei media audiovisivi in due principali aree di intervento: la promozione del mercato unico europeo dei servizi audiovisivi e delle opere europee, e la tutela del pluralismo sia nei termini di accesso ai media, sia nei termini di vigilanza e contrasto della costituzione di posizioni dominanti. Sotto il primo profilo l’Autorità, nell’anno appena trascorso, ha approfondito il problema dell’adeguatezza della regolamentazione esistente rispetto all’evoluzione del mercato. Risponde a questa esigenza l’Indagine conoscitiva “TV 2.0 nell’era della convergenza’”. Infine “per quanto riguarda la par condicio, attualmente limitata ai mezzi di comunicazione di massa radiofonici e televisivi, l’Autorità ancora una volta sottolinea come la trasformazione del sistema dell’informazione metta in crisi il modello legislativo analogico su cui si fonda la legge n. 28 del 2000, di cui in più occasioni l’Autorità ha richiesto l’aggiornamento”.