DailyNet 02/02/2017
Non si arresta l’ascesa della pratica dell’ad blocking, a +30% nel 2016 su scala globale. A rilevarlo è PageFair, secondo cui l’anno scorso ben 615 milioni di device, di cui 308 milioni da mobile, hanno attivato filtri per bloccare la pubblicità. La simile ripartizione di quote tra desktop e mobile non deve però ingannare: il 94% dei dispositivi mobili equipaggiato con ad blocking è situato in Apac. Non c’è stata invece un’impennata nell’uso dell’ad blocking in Nord America ed Europa: il pericolo, in questo caso, è che le aziende produttrici possano preinstallare software ad blocking sui telefonini, provocando una conseguente accelerazione nell’adozione di sistemi anti-advertising. In Italia la penetrazione dell’ad blocking è al 17% su dekstop e all’1% su mobile. Particolarmente interessante è il motivo principale per cui gli americani intervistati da PageFair decidono di scaricare un ad blocker: non la pubblicità ma per rimanere al sicuro da malware (30%), appena sopra ai formati pubblicitari interruptive (29%). Solo il 14% ha citato i troppi annunci in pagina come motivazione. Insomma è la privacy la ragione per cui si scaricano gli ad blocker e gli scandali emersi in casa Yahoo sui furti di dati sensibili non fanno altro che alimentare una preoccupazione di per sé già concreta. Secondo Johnny Ryan, head of ecosystem di PageFair, la colpa è di tutta l’industry, rea di non aver seriamente preso in considerazione il tema della privacy. A livello socio-demografico, il fenomeno è prevalentemente maschile ed è più comune tra le fasce più giovani della popolazione. Ciò non è una sorpresa, anche se ormai l’ad blocking, spiega PageFair, è una questione trasversale a età e sesso. Insomma, l’ad blocking ha raggiunto un certo livello di maturità. Un altro tema affrontato dal report è relativo alle modalità con cui gli editori hanno provato a combattere il problema e le diverse vie intraprese dal comparto media per convincere gli utenti a disinstallare l’ad blocker o mettere in white list i propri siti. Erigere muri non è una soluzione funzionante. Al 90% degli utenti intervistati è stato chiesto di disattivare l’ad blocker altrimenti l’accesso ai contenuti sarebbe rimasto interdetto. E il 74% di questi ha deciso di chiudere la pagina e andare da un’altra parte: per Ryan, intervistato da Business Insider, non tutti i publisher hanno contenuti esclusivi da giustificare un paywall. Ryan consiglia di aprire un dialogo con il proprio pubblico al fine di individuare le ragioni che dettano l’uso di strumenti per bloccare la pubblicità, e cercare di risolvere il problema offrendo una soluzione. Facebook ha intrapreso un’azione simile l’anno scorso: ha interrogato i suoi utenti e aggiornato i tool di preferenza degli annunci per fornire agli stessi maggiore controllo sulla tipologia di ads da distribuire. Nel redarre l’indagine PageFair ha intervistato 4,626 utenti oltre a utilizzare dati provenienti da StatCounter, Internet Live Stats, eMarketer, e US Census Bureau.